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    “Mi sono dimesso da presidente per un giorno. Lo rifarei?”

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    Ci sono giorni in cui fare il presidente è un orgoglio, un mix di responsabilità ed entusiasmo da trasmettere che rendono quei momenti un piacere, specialmente per un ventiseienne, finto vecchio come me. Ci sono poi giorni in cui fare il presidente è una rottura di scatole, giorni in cui il tempo non basta mai e sembra che i problemi facciano a gara per emergere con più foga. 

    E poi… Poi c’è venerdì 17. Ma per fortuna, quel giorno mi ero dimesso.

    ANDIAMO CON ORDINE.

    La mia giornata di solito parte molto presto la mattina, talmente presto che per la maggior parte del mondo è ancora notte. Nelle quattro/cinque ore che precedono l’orario di ufficio mi occupo di rispondere alle mail, di leggere documenti che richiedano particolare attenzione e, insomma, di tutte quelle cose che è molto più comodo fare senza essere disturbati. 

    SONO LE ORE PIÙ PRODUTTIVE DELLA GIORNATA.

    Poi arrivano le persone in ufficio, partono le mail, si svegliano i clienti, i partner, i sindaci, i revisori, i membri del cda: è giorno per tutti. E la giornata diventa a quel punto un susseguirsi di decisioni da prendere, più o meno urgenti, e più o meno importanti.

    Il mio ufficio è a vetri e tutti possono vedere cosa sto facendo, ma visto che la maggior parte del tempo non sto scrivendo sulla tastiera qualcuno potrebbe pensare che io non stia facendo nulla; poi, sul fatto che nessuno lo pensi realmente sono certo, ma vengo da una zona dove tradizionalmente se alla sera non si hanno le mani sporche di grasso non si può dire di aver lavorato, quindi forse il primo da convincere sono io.

    Così ho deciso, senza pensarci troppo in realtà, di scegliere una persona a caso in azienda e farla diventare “Presidente per un giorno”. Oneri e onori. La mia agenda, il mio ufficio, i miei strumenti, la mia carta di credito, il mio stesso potere di firma (ad esclusione di operazioni straordinarie, ça va sans dir).

    Venerdì 17 settembre, contro ogni scaramanzia, mi sono “dimesso” e ho lasciato il mio posto al data scientist Mirko Rima.

    La giornata è iniziata con “l’incoronazione”, ed è proseguita con un’agenda molto serrata, fatta di incontri con il collegio sindacale, aggiornamento su diversi progetti in corso (tra cui un’acquisizione in dirittura d’arrivo), alcune scelte relative all’arredamento dei nuovi uffici, al piano media, e alla valutazione di tante piccole situazioni quotidiane (alcune, per la verità, studiate un po’ ad hoc, ndr) che fanno parte della vita di un’azienda attiva da meno di un anno, arrivata però ad un organico di quasi 60 persone.

    Oltre al clima molto positivo che si è venuto a creare in ufficio – al ritmo di “c’è solo un presidente” – e tra D.P.R.M. (Decreti Presidenziali di Rima Mirko) e trovate dell’ufficio marketing, il “presidente per un giorno” si è calato perfettamente nella parte e ha completato tutti i compiti che avrei dovuto portare a termine io durante la giornata, lasciando in serata la poltrona con una lettera di osservazioni e consigli “da presidente a presidente”.

    QUESTO È QUELLO CHE HO IMPARATO DURANTE LA GIORNATA

    • La fiducia nelle persone è il motore di un’azienda in crescita, dove i processi per forza di cose non sono ancora strutturati e i collaboratori sono molto più che meri esecutori di istruzioni. Una volta dati gli obiettivi e gli strumenti per raggiungerli, bisogna lasciar fare.
    • Bisogna abituarsi a vedere le cose da punti di vista differenti: mettersi nei panni di qualcun altro permette di guardare in modo più oggettivo i problemi, dare nuova linfa alle idee e nuovo entusiasmo ai progetti.
    • Non esistono ruoli più importanti di altri: un’azienda è come un’automobile, ci sono componenti diversi ma se ne mancasse anche solo uno, sarebbe un’automobile diversa. E guai a pensare che il motore sia più importante dei freni solo perché il numero di cavalli è la prima cosa che si scrive sulla brochure.

    LO RIFAREI?

    Sono sempre stato della filosofia che “non si dice non mi piace, prima si assaggia”. La cosa bella in Vedrai è che qualsiasi cosa che ci viene in mente – a patto che non sia contraria al buon costume – abbiamo la possibilità di farla e di testarla. In molti erano scettici su questa iniziativa prima di metterla in pratica, vuoi perché a qualcuno sembrava una punizione, vuoi perché talmente assurda da pensare che non fosse vera. E invece era tutto vero, come vere sono le piantine con cui il nostro presidente per un giorno Mirko ha abbellito le scrivanie di Vedrai, così che “ognuno si possa prendere cura della piantina come il presidente si prende cura dell’azienda”. 

    E sì, lo rifarei.

    E lo rifaremo.

    Stay Tuned.

    Grazie ancora per il pranzo, Mirko. 

    Ci vediamo alla chiusura del bilancio!