Vai dal Barbieri: Europa, il gigante sedato
28 Nov 2024
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Negli ultimi anni l'Eurozona ha attraversato una prolungata fase di stagnazione economica, evidenziando le fragilità strutturali di un modello di crescita eccessivamente dipendente dalla domanda esterna e dagli investimenti industriali alimentati dai surplus delle partite correnti. Questo approccio, che in passato aveva consentito alla regione di superare la crisi del 2010, si rivela sempre meno efficace in un contesto globale caratterizzato da una crescente competizione. La Germania, tradizionalmente considerata il motore economico d’Europa, sta affrontando una crisi che aggrava ulteriormente le difficoltà dell'intero continente. Al tempo stesso, indicatori apparentemente positivi, come il basso livello di disoccupazione, mascherano dinamiche preoccupanti che rischiano di compromettere la competitività complessiva dell’Unione Europea. Questi segnali rendono urgente una riflessione strategica su possibili riforme di politica economica e industriale per affrontare le sfide future e mantenere un ruolo da protagonisti sul panorama globale.
Dunque, in un contesto di stagnazione economica, emergono sfide sempre più complesse non solo per i governi ma anche per le imprese, chiamate a ripensare obiettivi e strategie in scenari di forte incertezza. Una riflessione ampia, basata su dati solidi e capacità di visione prospettica, diventa essenziale per immaginare un futuro sostenibile.
Europa: un motore rotto da tempo
Storicamente, l’Europa ha basato la sua crescita economica più sulla domanda esterna (esportazioni) che su quella interna (consumi e investimenti). Dopo la crisi dell’Euro dei primi anni 2010, il surplus persistente del current Account della bilancia dei pagamenti ha stimolato gli investimenti e mantenuto la crescita del PIL reale intorno al 2%, pur con consumi domestici storicamente bassi. Le politiche della BCE, come i tassi di interesse zero e il Quantitative Easing, hanno temporaneamente sostenuto l’economia, ma non hanno risolto il problema strutturale della debole domanda interna.
Nel 2023, l'economia dell'Eurozona ha affrontato una marcata stagnazione, con una crescita del PIL praticamente inesistente. Questo quadro riflette un contesto economico particolarmente complesso, caratterizzato da pressioni inflattive persistenti, una domanda interna debole, un deciso irrigidimento delle politiche monetarie da parte della BCE e una graduale riduzione del supporto fiscale. Sebbene sia stata evitata una recessione tecnica, le prospettive per il 2024 rimangono poco incoraggianti, alimentando dubbi sulla capacità della regione di rilanciare una crescita sostenibile.
Il modello economico che aveva permesso di navigare la crisi dell'euro del 2010-2011 sembra aver perso efficacia, ammesso che fosse davvero sostenibile nel lungo periodo. Anche nell’anno corrente, la crescita dei consumi è praticamente nulla, mentre l’aumento della spesa pubblica e il crescente assorbimento di lavoratori nel settore statale stanno contribuendo a una riduzione generale della produttività. Paradossalmente, gli strumenti che in passato avevano evitato il collasso si stanno oggi rivelando i principali responsabili del rallentamento, trasformando quello che era un salvagente in un potenziale giustiziere dell’economia europea.
Il pistone inceppato: il caso tedesco
La Germania, storicamente il motore dell’economia europea, è diventata oggi il principale freno alla crescita del vecchio continente. La produzione industriale tedesca è crollata di quasi il 20% rispetto ai massimi del 2017, con settori strategici come la metallurgia e la meccanica in forte difficoltà: il primo ha registrato un drammatico calo delle vendite del 20,5%, mentre il secondo ha subito una contrazione del 10,7%. Il declino è aggravato dalla crescente competizione della Cina, in particolare nel settore automobilistico, che rappresenta oltre il 20% del valore aggiunto manifatturiero tedesco e assorbe gran parte degli investimenti europei in ricerca e sviluppo. A maggio 2024, la produzione di veicoli ha segnato un ulteriore calo di oltre il 5% rispetto al mese precedente, evidenziando una crisi strutturale che appare sempre più difficile da invertire. La situazione è stata ulteriormente deteriorata dalla guerra in Ucraina, che ha scatenato un’impennata dei prezzi del gas, elemento cruciale per molte industrie tedesche già sotto pressione per l’introduzione di stringenti normative ambientali. La crisi energetica ha costretto Berlino a riattivare centrali a carbone, segnando di fatto un passo indietro rispetto agli ambiziosi obiettivi della Energiewende.
Un mercato del lavoro sbilanciato
Nonostante il tasso di disoccupazione sia ai minimi storici, il mercato del lavoro europeo non è riuscito a stimolare una crescita economica robusta. L’occupazione record è stata accompagnata da una stagnazione nella produttività del lavoro, a causa di un significativo incremento dei posti nel settore pubblico. Tra il 2019 e il 2023, il settore pubblico ha contribuito al 40% dell’aumento complessivo dell’occupazione, ma molte delle nuove posizioni hanno avuto un impatto limitato sul valore economico reale, configurandosi spesso come ruoli di “stimolo” o “lavori fittizi”. Questo squilibrio ha contribuito a ridurre la crescita della produttività per lavoratore, limitando il potenziale di crescita strutturale del PIL.
La crescita economica è così rimasta dipendente principalmente dall’aumento della popolazione e dagli investimenti di capitale, entrambi elementi che l’Europa fatica a sostenere a causa di una demografia sfavorevole e di livelli insufficienti di investimenti produttivi. In questo contesto, l’assenza di un aumento della produttività del lavoro rende la crescita nominale del PIL incapace di tradursi in un’espansione reale significativa.
Il problema non è esclusivamente europeo: situazioni simili si riscontrano in Paesi come il Canada, dove l’espansione dell’occupazione non si traduce in una maggiore crescita di valore aggiunto e questa crescita è prevalentemente guidata dall’espansione del settore pubblico. Va inoltre considerato il ruolo degli stimoli economici, che, pur orientati in parte verso l’espansione infrastrutturale, faticano a generare il valore aggiunto necessario per innescare una crescita sostenibile. Allo stesso tempo, esiste un rovescio della medaglia rappresentato da lavori non retribuiti ma essenziali, come il lavoro domestico, che non vengono catturati nelle metriche tradizionali.
Come suggerito da alcuni esperti, un indicatore chiave da monitorare è il valore prodotto per lavoratore per ora, che in Europa è stagnante. Con una produttività piatta, la crescita economica risulta fragile e fortemente esposta a piccoli shock. Senza una ripresa della produttività, l’aumento del PIL continuerà a dipendere esclusivamente dall'espansione della forza lavoro o dagli investimenti di capitale, due pilastri che l’Europa fatica a rafforzare. In questo contesto, anche con un basso tasso di disoccupazione, il potenziale di crescita economica rimane limitato, lasciando il continente a rischio di recessione
Conclusione
Il futuro dell’Europa dipende sempre più dalla capacità di rafforzare la propria integrazione economica e politica. Come indicato da Mario Draghi e da altri leader europei, una maggiore coesione tra gli Stati membri è l’unica strada per rispondere efficacemente alle sfide globali. L’Europa deve risvegliare il suo potenziale economico e industriale, superando le sue attuali difficoltà con una visione comune e ambiziosa per il futuro.
Un indicatore chiave da monitorare è il valore prodotto per lavoratore per ora, che in Europa è stagnante.